IMPARARE A LAVORARE CON I RAGAZZI BES (DSA, ADHD…)

 Un anno di casi: testimonianze dei Tutor Educere, Specialisti dell’apprendimento per le diverse intelligenze

 

PERCHE’ QUESTO QUADERNO?

IL NOSTRO OBIETTIVO: LA RICERCA DEL TALENTO

 L’idea di scrivere I quaderni di Educere è nata dal desiderio di condividere le nostre esperienze di tanti anni di lavoro con chiunque ne possa trarre aiuto e ispirazione. I colleghi che hanno aderito hanno sostanzialmente contribuito a dare forma al progetto, al punto che oggi la paternità di questo scritto non può che essere del gruppo; di tutti coloro che hanno condiviso le relazioni dei propri incontri con i ragazzi o che hanno messo su carta le proprie esperienze per lasciare traccia di un lavoro meraviglioso, utile, ricco di speranza e buone pratiche.

Mi riferisco al lavoro del tutor: specialista dell’apprendimento per le diverse intelligenze.

LEGGI UN ESTRATTO DEL LIBRO:

CHI E’ IL TUTOR E LE PREMESSE PER FARE IL TUTOR. Riflessioni tratte da casi della scuola primaria e secondaria

Ho frequentato il corso tutor di primo livello nel 2013. Allora non immaginavo quanto avrei imparato da tutti i corsi che ho poi svolto in associazione, né mi aspettavo di scoprire che essere tutor è il lavoro che ho scelto e continuo a scegliere ogni giorno con ogni parte di me. Ho pensato di portarvi la mia esperienza, qualche punto per me fondamentale nel lavoro di tutor e qualche situazione che spero possa essere per voi uno stimolo, un suggerimento per qualche riflessione. In questi sei anni ho avuto la fortuna immensa di entrare a far parte della vita di molti ragazzi. Dico “entrare a far parte della vita” perché il nostro lavoro è molto più ampio e complesso di quanto sembri. L’immagine che ci viene subito in mente è quella di due persona sedute a un tavolo, intente a svolgere esercizi. In realtà il sostegno al compito è solo il punto di partenza del nostro lavoro.

Il compito è lo strumento attraverso cui entriamo in contatto con una persona in difficoltà e noi abbiamo il privilegio di poterla aiutare, di poterle mostrare che si può trovare un’alternativa per sentirsi un po’ meglio; che non ci sono difficoltà insormontabili per ché, se affrontati con i giusti strumenti, tutti gli ostacoli sono superabili. Entriamo a far parte della loro vita poiché passiamo due, quattro o sei ore alla settimana a casa loro o comunque in loro compagnia e oltre al compito, alla materia in sé, condividiamo racconti, pensieri, esperienze, emozioni. Non solo: entriamo pure in un nucleo familiare, entriamo a scuola facendoci portavoce dei diritti dei nostri ragazzi, a contatto quindi con i luoghi e le figure di riferimento che fanno parte della loro quotidianità. Mi sento grata per la fortuna di sostenere i miei ragazzi, di vederli crescere, cambiare, raggiungere obiettivi e diventare mano a mano sempre più autonomi e fieri di loro stessi.

Ho pensato di condividere con voi alcune parole cardine del mio lavoro concentrandomi sulla relazione poiché penso che sia fondamentale, come primo obiettivo, predisporre una base solida di fiducia e rispetto reciproci per costruire una relazione stabile e funzionale sia con i ragazzi che con le rispettive famiglie. Una delle cose che mi ha più colpito in questi anni è che tutti i ragazzi che ho incontrato, per quanto diversi tra loro, avevano in comune la scarsa fiducia in sé stessi e un livello di autostima bassissimo.

Ecco, ancor prima di compensare le caratteristiche DSA dei nostri ragazzi è qui che dobbiamo andare a lavorare. La fiducia in sé stessi è la base dello sperimentare, provare e riprovare fino a ottenere gli obiettivi desiderati. Se manca questa sarà impossibile per il nostro ragazzo mettersi in gioco e di conseguenza sarà poco utile qualsiasi strumento compensativo possiamo suggerire.

Ho scelto di raccontarvi il lavoro del tutor attraverso alcune parole.

Le parole che ho selezionato introducono qualità che ritengo siano vitali per il nostro lavoro. Alcune di queste le ho sempre coltivate, fanno parte del mio carattere e del mio bagaglio di vita; altre ho imparato a conoscerle, ad approfondirle stando a contatto con i miei ragazzi. Ho scoperto che smussando alcune rigidità, ciò che all’inizio può fare molta paura si può invece rivelare un punto di forza e una possibilità di crescita, di scoperta di un te stesso che non aveva avuto ancora modo di emergere.

Partiamo dunque con la prima parola che ho scelto:

1) DELICATEZZA

La delicatezza con i ragazzi
Uso spesso la frase “entrare in punta di piedi nelle vite dei nostri ragazzi”: credo che renda bene l’idea di delicatezza. Soprattutto durante i primi incontri credo sia molto importante concentrarsi sulla conoscenza della persona rispettando la sua emotività, i suoi pensieri e le sue paure. I ragazzi spesso associano la nostra figura a quella di un professore che dà voti e giudizi, per cui concentro soprattutto i primi incontri sulla conoscenza di noi, mi interesso sì alla scuola ma anche alle loro passioni, ai loro sogni e ai loro desideri così da poter rompere il ghiaccio e mostrarmi come una figura amica.

È fondamentale creare un clima di fiducia reciproca: se il nostro ragazzo si fida di noi possiamo raggiungere obiettivi veramente grandi. Per questo esempio mi ha ispirato un caso che seguo da 4 anni in cui la relazione di fiducia ha permesso a un ragazzo, oggi di 16 anni, di credere sempre più in sé stesso e di raggiungere grandi obiettivi: dal non riuscire a scrivere un pensiero senza sentirsi frustrato al farsi portavoce dei diritti dei ragazzini DSA in classe ed essere in grado di organizzare autonomamente il lavoro sia a scuola che a casa.

Come ottenere, quindi, questa fiducia? Partendo dalla delicatezza appunto: abbiamo davanti delle persone che racchiudono un mondo dentro; noi come tutor/educatori abbiamo il dovere di rispettare e preservare questo mondo fatto di emozioni, pensieri, esperienze, ricordi. Anche perché è proprio questa intimità che può rivelarsi essenziale per il nostro lavoro.

Mi riferisco in particolar modo a una bambina che riesce a studiare attraverso la memoria esperienziale, che usa questo strumento per approfondire la materia scolastica, quando qualche avvenimento o spiegazione provoca in lei un’emozione, o viceversa, il ricordo è duraturo.

Delicatezza con i genitori
Ho incontrato genitori preoccupati. Spesso le mamme e i papà cercano in tutti i modi di aiutare i propri figli per cui molte volte interpretano il ruolo del tutor, ma questo di solito si rivela molto frustrante perché fare il genitore e il tutor insieme è estremamente faticoso.

Durante il primo incontro con i genitori ho visto molti papà e mamme stanchi. Per questo è fondamentale la delicatezza anche con loro. Ci stanno affidando la parte più preziosa di loro: dobbiamo averne cura.

2) ACCOGLIENZA
Accoglienza con i figli
Accogliere nel senso di ricevere, a braccia aperte e senza giudizio tutto ciò che ci trasmettono i nostri ragazzi. A volte non è facile, soprattutto quando ci donano rabbia e frustrazione. Il temine donare non è ironico: personalmente credo che quando il ragazzo che hai di fronte si sente libero al punto da condividere con te la sua rabbia senza paura di essere giudicato o rifiutato ci sta donando una parte di sé, e sappiamo bene quanto non sia sempre facile mostrare e soprattutto accettare alcune sfaccettature emotive. Se il ragazzo decide di mostrarci questo è perché si fida di noi e qui è fondamentale accogliere, ascoltare e “stare senza fare”, osservare, far sentire la nostra vicinanza senza l’angoscia di dover risolvere qualcosa o trovare le parole giuste da dire, perché semplicemente a volte non esistono.

Tante volte mi è capitato di arrivare dai miei ragazzi dopo un loro litigio con un genitore. Ho fatto presente che avrei ascoltato volentieri i loro pensieri e ho lasciato loro il tempo finché non hanno fatto la prima mossa e mi hanno raccontato ciò che era successo. Mi riferisco in particolar modo a un ragazzo che all’inizio di molte lezioni, magari anche per due ore di seguito, mi lanciava continue provocazioni che accoglievo senza giudizio poiché erano l’espressione di un suo disagio che in questo modo riusciva a sfogare in un ambiente protetto. Questo è un esempio di condivisione non verbale diretta, ma che maschera un malessere interiore. Sta a noi ascoltarlo, osservarlo e accoglierlo secondo i bisogni dei nostri ragazzi.

Accoglienza con i genitori
Accogliamo le ansie e le angosce dei genitori, ascoltiamole. Trasmettiamo sia a loro che ai ragazzi la normalità del provare le emozioni, anche quelle più scomode. Spesso i genitori si sentono inadeguati, si sentono in colpa, tantissime volte li ho sentiti dire: “vorrei aiutarlo ma non so come fare”. Diamo importanza alle loro parole, alle loro emozioni. Rassicuriamoli sul fatto che sia normale e comprensibile che provino queste emozioni; che siamo lì per aiutarli, che siamo li per fare squadra e per trovare delle strategie per migliorare la qualità della vita sia dei ragazzi che di tutta la famiglia.

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